INCONTRO CON L’ARTISTA: PAOLO BINI

28 Novembre 2017

Camminando tra gli stand di ArtVerona lo scorso ottobre, il mio occhio viene attratto da un’opera dalle linee forti e i colori accesi. Mi informo dal Gallerista Nicola Pedana sull’identità dell’artista e, in pochi minuti, mi ritrovo a chiacchierare con lui: è Paolo Bini.
Nato a Battipaglia nel 1984 e diplomatosi in scenografia all’Accademia di Belle Arti di Napoli, il suo percorso artistico si avvia quasi naturalmente, anche grazie dall’incontro con figure importanti come Massimo Bignardi, suo professore di Storia dell’Arte contemporanea, le cui lezioni si dividono tra l’aula e le grandi mostre che Napoli ospita agli inizi del Duemila: Damien Hirst al Museo Archeologico Nazionale, Giuseppe Maraniello a Ischia, George Baselitz, Jannis Kounellis e tanti altri al Museo MADRE.
Tra i dieci finalisti con Left Behind del Premio Icona alla Fiera di Verona (poi andato a Extra Profondo Oro di Flavio Favelli), Paolo Bini ha vinto la XVII edizione del Premio Cairo nel 2016, la sua opera Paesaggio con vibrazione è da poco entrata a far parte della nuova collezione permanente del Museo MADRE di Napoli e sta attualmente lavorando alla sua terza mostra personale in Sudafrica.
Paolo, come definiresti la tua opera? Cosa ti ispira nella tua produzione?
«Una delle tematiche a me più care, ormai da quasi dieci anni, è il racconto del paesaggio. I viaggi compiuti in Grecia e nel Regno Unito, oppure a Belgrado e all’Avana, oltre all’ormai consolidato rapporto di collaborazione in una terra eccezionale come il Sudafrica, ispirano profondamente il mio lavoro. La possibilità di viaggiare e mettermi a confronto con nuove realtà ha modificato e ancora oggi muta, giorno per giorno, le capacità espressive del mio lavoro, principalmente dal punto di vista formale ed emozionale. La mia opera fonda le basi su elementi consolidati nell’immaginario collettivo, come la pittura e il paesaggio e, al contempo, viene influenzata dall’inquietudine dello sguardo della cosiddetta generazione 2.0».
C’è un’opera a cui sei particolarmente legato?
«Due: Nuvole sulla strada per Stellenbosch e Lichnos, entrambi luoghi a me cari. La prima è stata la prima opera formalizzata a Cape Town nel 2013, ispirata dalla scoperta e dalla visione di uno dei paesaggi montuosi più affascinanti della Western Cape: chiesi a Emma (la gallerista) di scendere dalla macchina per godere di una cromia di verdi in sintonia con le nuvole in un movimento quasi innaturale, le nuvole scatenarono un’osmosi fra esterno e interno. Nacque così l’opera che oggi è ben custodita in un’importante collezione privata a Varsavia. Mentre Lichnos è un’opera nata in Grecia; ad essa sono particolarmente legato, perché segna l’inizio di qualcosa. Anche quest’opera è custodita gelosamente da una persona speciale».
Cosa ne pensi delle fiere d’arte? Ho visto i tuoi quadri ad Artverona e ad Artissima. Per i giovani artisti le fiere sono davvero un’occasione di visibilità e di vendite?
«Sì, per quanto riguarda la mia esperienza posso tranquillamente affermare che le fiere d’arte sono una reale occasione per conoscere addetti ai lavori, rivedere amici artisti, critici, curatori e collezionisti; le fiere sono belle proprio perché in pochi giorni hai la possibilità di misurare lo stato delle gallerie nazionali e internazionali. È un po’ come guardare duecento mostre/progetti in due-tre giorni, da pazzi ma bello! Inoltre, ma non di secondaria importanza, se il lavoro è valido viene venduto. In Italia molti collezionisti sono ben preparati e hanno le idee chiare. Le fiere d’arte sono il network reale, svolgono un prezioso ruolo nel tenere in vita l’arte e i suoi interpreti».
A Verona eri rappresentato dalla galleria Nicola Pedana di Caserta, a Torino da Alberto Peola. Come nasce una collaborazione con una galleria d’arte? È possibile collaborare contemporaneamente con più galleristi?
«Con Nicola lavoriamo insieme dal 2014, siamo entrambi giovani (quasi coetanei), lui sostiene e crede molto nel mio lavoro. Dal 18 dicembre 2016 al 7 febbraio 2017, in collaborazione con la Reggia di Caserta, abbiamo realizzato una mia personale dal titolo Left Behind, a cura di Luca Beatrice, negli Appartamenti Storici del Settecento, stanze che fino a qualche anno fa ospitavano la prestigiosa collezione TerraeMotus, voluta da Lucio Amelio. Nel catalogo, Luca Beatrice ha definito Nicola Pedana: “un vero e proprio coequipier” ed è proprio così, infatti è stato ed è un energico sostenitore dei giovani talenti. Oltre che con lui, ho da poco iniziato a collaborare con Alberto Peola: ci siamo conosciuti poco più di un anno fa, ci siamo scritti e abbiamo iniziato a conoscerci, poi è partita questa nuova collaborazione proprio in occasione di Artissima. Durante la preview della fiera, Alberto mi ha detto al telefono: «Paolo, il tuo lavoro suscita entusiasmo» e questa è senza dubbio una delle soddisfazioni più belle che un artista possa ricevere. Credo, quindi, che sia possibile collaborare con più gallerie e infatti a febbraio inaugurerò una personale alla CIRCA Gallery di Johannesburg e a marzo un’altra alla Galleria Peola di Torino».
Mi puoi dare un range di prezzi delle tue opere? In fiera ad Artissima hai realizzato qualche vendita importante?
«I prezzi delle mie opere partono dai 3.000 euro fino ad arrivare a 30.000 euro per grandi opere, installazioni e/o progetti monumentali site-specific. Ad Artissima ho ottenuto ottimi riscontri anche in termini di vendite, sia con Alberto Peola che con Editalia, con cui ho realizzato un’opera-progetto dal titolo Hyperspace colours, il tutto legato a una bellissima monografia a cura di Flavio Arensi. Progetto e libro sono stati presentati, nel corso di un talk nell’area salotti della Fiera e devo dire che anche lì abbiamo avuto un nutrito e interessato pubblico. Meglio di così?».
So che sei coinvolto in alcuni interessanti progetti in Sudafrica. Come sei entrato in contatto con la scena artistica sudafricana? Che differenze noti con la realtà europea e italiana?
«Sono arrivato a Cape Town per la prima volta l’11 settembre 2013, grazie al progetto ARP – Artist Residency Project, ideato dal Centro Documentazione della Ricerca Artistica Contemporanea Luigi Di Sarro di Roma, diretto da Alessandra Atti Di Sarro, e mi sono sintonizzato quasi subito in una realtà artistica totalmente differente da quella italiana e di conseguenza europea: Cape Town accoglie diversamente gli eventi d’arte e le inaugurazioni delle mostre, finanche tra gli artisti si instaura uno spirito diverso, c’è più dialogo, e questo mi esalta. In Italia incontri spesso artisti interessantissimi (sul piano artistico) ma affatto predisposti a una “condivisione”. Nei miei tanti soggiorni sudafricani negli ultimi quattro anni ho abitato in differenti zone di Cape Town e devo dire che la realtà artistica più in fermento si concentra nel quartiere di Woodstock. Al momento vivo in una casa-studio con giardino a Constantia, il quartiere sulle colline della città note per la produzione di vini rossi. Vino a parte, sto lavorando alla mia terza personale sudafricana questa volta a Johannesburg, alla CIRCA Gallery».
Concludiamo parlando della tua recente esperienza con il Museo MADRE di Napoli. Che cosa significa per un giovane artista campano avere una propria opera esposta nella collezione permanente di un Museo così importante?
«Esporre un’opera in un museo come il MADRE è motivo di grande soddisfazione, se poi pensi che nei primi anni di Accademia, finite le lezioni, visitavo quasi sempre questo museo per riempirmi gli occhi, allora la soddisfazione oltre a essere doppia ha anche un risvolto sentimentale. Ma facciamo un passo indietro, al 2014, quando ho progettato appositamente un’opera-progetto in occasione del Contest Show_Yourself@Madre, successivamente realizzata ed esposta al Museo MADRE di Napoli. Questo lavoro dal titolo diNUOVOpaesaggio (acrilico su nastro carta Fabriano, 220×340 cm) è stato per me molto importante, perché ha suscitato l’interesse del direttore Andrea Viliani con cui è nato un dialogo per me fondamentale. Oltre a essere un eccezionale direttore museale, Andrea è un geniale curatore, profondo e intellettuale, in grado di mostrare a un giovane artista strade inconsapevoli che, se percorse con l’ausilio della razionalità, portano verso nuove e innovative direzioni. La mia opera oggi esposta nella collezione del Museo s’intitola Paesaggio con vibrazione: è un lavoro del 2016 realizzato in acrilico su nastro di carta su tela e anticipa (formalmente) le vibrazioni emozionali dell’opera Luoghi del Sé (2016) che ha poi vinto la XVII Edizione del Premio Cairo».

Camilla Angelino